Onorevoli Colleghi! - La figura del prefetto, organo di rappresentanza del governo nella provincia, ha inizialmente trovato il suo fondamento normativo negli articoli 18 e 19 dell'ormai abrogato testo unico della legge comunale e provinciale, di cui al regio decreto 4 marzo 1934, n. 383, e, attualmente, nel testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni.
      Il prefetto si caratterizza come organo di competenza generale del Governo, sebbene dipendente gerarchicamente dal Ministero dell'interno. In quanto tale, il prefetto non può essere considerato come organo decentrato di un settore dell'amministrazione statale, quale è, ad esempio, il dirigente dell'ufficio scolastico regionale nei confronti del Ministro della pubblica istruzione.

      Le competenze amministrative che le varie leggi hanno attribuito al prefetto sono state in buona parte assorbite dai decreti legislativi che hanno trasferito funzioni già dello Stato alle regioni. Ciò nondimeno il prefetto non ha perso le funzioni di longa manus del potere politico ed amministrativo centrale. Luigi Einaudi nel 1944 affermò che la figura del prefetto si presentava come ostacolo a un ordinamento veramente democratico. Le competenze frammentate e generiche, peraltro accompagnate da una competenza generale sulla tutela dell'ordine pubblico attraverso la possibilità di un uso in via immediata della forza pubblica stessa, fanno del prefetto uno strumento di autorità coercitiva con una forte valenza politica. Benché il Ministro dell'interno non si avvalga più della facoltà di nominare i cosiddetti «prefetti politici» sino a un massimo

 

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dei due quinti dei prefetti, questa figura rappresenta di fatto il sistema politico commistivo le cui linee di forza passano attraverso Ministeri e Governo. È innegabile che, avendo il prefetto facoltà di fornire un servizio di ordine pubblico con ampi poteri di discrezionalità, la leva, anche psicologica, dell'autorità dell'ordine pubblico può dimostrarsi un fattore determinante per condizionare politicamente le autorità locali. Conseguentemente, il prefetto è in netta contrapposizione con le esigenze di decentramento dello Stato a favore delle autonomie locali che sono portatrici di interessi di diversa natura. Appare pertanto opportuno abrogarne la figura, attribuendone le funzioni ad altri organi, quali la regione, la provincia, il comune e il questore. Una decisione necessaria in quanto è incontestabile che negli ultimi anni le prerogative ed il ruolo del prefetto nell'ordinamento giuridico italiano risultino ingiustificatamente potenziati; questo per una congerie di situazioni, tra cui anche il vistoso riflusso della pubblica opinione verso la tecnocrazia imparziale come forma di reazione rispetto alla politicizzazione dell'esercizio della pubblica funzione, in particolare dell'amministrazione.
      Conseguentemente, il prefetto risulta essere una figura nevralgica dell'amministrazione pubblica; al prefetto infatti sono stati attribuiti una miriade di compiti, funzioni e interventi, un numero impressionante di micro e macro competenze, che non danno al prefetto competenze organiche e omogenee, ma semplicemente competenze che riassumono in un'unica figura istituzionale funzioni e compiti tra loro profondamente diversi.
      Per un breve excursus storico, si ricorda che l'istituto prefettizio ebbe origine in Francia con Napoleone, il quale sostituì gli intendenti con i prefetti. In Italia vi furono alcuni fattori fondamentali in virtù dei quali la figura del prefetto acquisì forza. Il primo fattore fu l'unione in capo alla stessa persona della carica di Ministro dell'interno e di Presidente del Consiglio dei ministri; l'unione delle due cariche manteneva così una visione centrale dello Stato nei confronti delle autonomie, nonché un controllo politico di ogni parte del territorio dello Stato attraverso questi inviati.
      Se tuttavia la figura del prefetto ha un suo ruolo in una società in cui non si è compiuto o raggiunto un decentramento della pubblica amministrazione che definisca chiaramente la linea di demarcazione tra compiti e funzioni dell'amministrazione statale e compiti e funzioni dell'amministrazione locale, il prefetto facilmente si individua come il referente-supervisore dell'amministrazione centrale dello Stato nella singola provincia.
      Ma il divenire della storia e le riforme che si sono avute nella pubblica amministrazione portano cambiamenti che non possono essere ignorati. Gli effetti dei provvedimenti legislativi di riforma del biennio 1990-1991 e del 1997 e quelli degli anni 2000 hanno toccato solamente i segmenti terminali dell'organizzazione dello Stato, non evidenziando una linea strategica stabilmente orientata, ma agendo con la tecnica della sommatoria e della sovrapposizione di compiti e di funzioni, creando un sistema complesso e confuso. Come conseguenza di tali riforme, al prefetto non è stato diminuito l'attribuito ruolo di garante e di protettore della funzionalità complessiva del quadro istituzionale della provincia; non è stato tenuto conto che per ottenere una vera autonomia amministrativa è doveroso attribuire alle amministrazioni locali la pertinenza delle scelte strategiche tecniche e politiche di rilevanza locale. Per questa ragione in un'ottica di riforma dello Stato in senso federale, ovvero di distinzione tra le attribuzioni in capo allo Stato, alle regioni e agli altri enti locali, il prefetto è una figura della pubblica amministrazione che deve necessariamente essere soppressa.
      È dunque per garantire l'effettiva attribuzione alle regioni e agli enti locali di numerose funzioni, compiti e prerogative che ora sono dello Stato, che si sottopone, a favore di un ruolo più attivo e responsabile delle autonomie locali nella realizzazione degli interessi diffusi delle rispettive comunità, la presente proposta di legge dell'esame della Camera dei deputati.
 

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